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I prezzi del cibo salgono: nel 2013 previste rivolte

Siamo a un passo dall'esplosione di una serie di rivolte globali. Stavolta il calendario Maya centra poco, come anche le profezie di Nostradamus: a predirlo è un indice elaborato scientificamente da un gruppo di esperti del Complex Systems Institute, rilanciato ultimamente da un articolo di Mother Board. Il motivo sarà il più elementare dei bisogni umani: il cibo.

Nel 2011 un gruppo di studiosi dei sistemi complessi, capeggiato dall'italiano Marco Lagi, ha analizzato una serie di fattori mettendoli in relazione temporale con le rivolte scoppiate nel mondo negli ultimi anni. I risultati hanno mostrato che esiste un fattore che più di ogni altro influisce sullo scoppio delle rivolte: il prezzo del cibo.

Il grafico qua sotto riassume bene le evidenze emerse dallo studio:

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Il grafico elaborato dal Complex Systems Institute

La linea nera rappresenta l'andamento del prezzo del cibo nel tempo ed è stata elaborata in base ai dati forniti dal cosiddetto indice dei prezzi alimentari della Fao, che segue mensilmente i prezzi di un paniere di 55 prodotti, tra cui cereali, oli, carni, latte, etc. Le linee rosse verticali invece indicano le date delle rivolte nel mondo. La relazione è evidente: all'aumentare del prezzo del cibo aumenta la probabilità che si verifichi una rivolta.

In particolare gli studiosi hanno evidenziato una soglia oltre la quale il rischio di rivolte diffuse diventa tangibile: 210. Quando il prezzo del paniere di beni alimentari primari superò quella cifra nel 2008 fecero seguito una serie di rivolte in tutto il mondo; nel 2010 al superamento della soglia di 220 corrisposero le rivoluzioni della primavera araba.

Oggi il prezzo del paniere oscilla pericolosamente attorno alla drammatica soglia e da qualche settimana si è attestato a quota 213. Ma le conseguenze sempre più evidenti dei cambiamenti climatici, unite al sovraconsumo, faranno con ogni probabilità salire ulteriormente il livello fino a 240 entro l'agosto del 2013. Sempre secondo le previsioni del gruppo di studiosi.

Cosa tutto ciò potrebbe causare non è neppure immaginabile. Un'ondata di fame di livelli mai visti porterebbe con sè un'ondata di violenza di pari entità. Le multinazionali del cibo devono esserne consapevoli e già da diversi anni stanno cercando di accaparrarsi i diritti di produzione alimentare in tutto il mondo, scippandoli con la violenza ai contadini.

Se prima ciò accadeva solo nelle zone più povere del mondo - si pensi ai "campesinos" di Haiti o alle lotte di Vandana Shiva per preservare le antiche sementi dall'aggressione Ogm di Bayer e Monsanto - adesso l'offensiva ha raggiunto anche la "sviluppata" Europa.

Il 12 luglio scorso la Corte di giustizia europea ha confermato il divieto di commercializzare e persino scambiare le sementi che non sono iscritte nel catalogo ufficiale europeo. La sentenza fa riferimento ad una direttiva europea del '98 che di fatto riserva il diritto di commerciare le sementi alle multinazionali.

Come? Il meccanismo non è troppo complesso. Perché una semente possa essere commercializzata o scambiata deve essere iscritta nel catalogo ufficiale. Iscriverla costa e tanto. Inoltre il prodotto deve rispettare dei criteri di "Distinzione, Omogeneità e Stabilità", vale a dire che deve garantire "una accresciuta produttività agricola".

Risultato? Gli Ogm possono essere iscritti senza problemi al catalogo ufficiali, visto che le multinazionali che li producono non hanno problemi a sganciare il denaro necessario e rispettano alla perfezione i criteri di produttività. Le sementi antiche e tradizionali invece, essendo patrimonio comune di tutti agricoltori ma proprietà esclusiva di nessuno, difficilmente trovano qualcuno disposto ad investire dei soldi per registrarle e dunque finiscono per diventare illegali. Stessa fine per le specie antiche, che alcune associazioni che lottano per la biodiversità cercano di mantenere in vita.

Nella corsa a favorire le multinazionali a scapito dell'agricoltura tradizionale il governo "dei poteri forti" guidato da Monti non può che essere in prima fila. L'esecutivo si è scagliato contro una legge della regione Calabria che intendeva tutelare i prodotti a chilometro zero.

La legge in questione è la numero 22 dell'11 giugno 2012 recante "Norme per orientare e sostenere il consumo di prodotti agricoli anche a chilometri zero". "Ostacola la libera circolazione delle merci, è in contrasto con i principi comunitari" hanno tuonato dal governo. Il provvedimento è stato etichettato come una legge quasi autarchica che avvantaggia i prodotti regionali rispetto a quelli extra-regionali, in netta contrapposizione al principio di libera circolazione delle merci.

A dire l'ultima parola sulla questione sarà la Corte Costituzionale che dovrà chiarire se la Regione Calabria è andata oltre le sue competenze legiferando in materia. Resta comunque il tentativo del governo, in linea con le strategie dell'Unione europea, di aprire il campo agli investimenti dei grandi gruppi multinazionali e spazzar via i produttori locali, attenti custodi della biodiversità.

La strategia di certo non è nuova, ma è tanto più pericolosa quanto più si avvicina ad elementi che stanno alla base della vita sul pianeta. Le multinazionali, vere e proprie "istituzioni dominanti della società contemporanea" (per citare il documentario The Corporation) si stanno pian piano appropriando degli aspetti più elementari della nostra vita: il cibo, l'acqua, persino il codice della vita stessa attraverso la mappatura "privatizzata" del genoma umano.

Se allo scoppiare delle rivolte predette per l'agosto 2013 buona parte della produzione di cibo a livello mondiale sarà gestito da un manipolo di enormi società globali, bé, sappiamo già chi avrà il coltello dalla parte del manico.

fonte: Il Cambiamento.it

 

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