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Acqua patrimonio dell'umanità

L'Acqua, una risorsa sempre più scarsa a causa dell'esplosione demografica, fino a rappresentare un "casus belli" in varie zone del mondo. Ma il futuro sarà davvero costellato di conflitti per l'acqua? Per i media sì, per gli esperti no. La soluzione è la cooperazione.

I fiumi, da sempre fonte di vita, sono anche fonte di discordia. Si stima che al mondo vi siano oltre 262 bacini fluviali condivisi tra più Stati: 59 in Africa, 52 in Asia, 73 in Europa, 61 in America Latina e Caraibi, e 17 in Nord America; in totale 145 Paesi al mondo hanno almeno un bacino in condominio. E, salvo rare eccezioni, quasi ovunque la domanda è sempre la stessa: a chi appartiene l'acqua?

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Quasi sempre le sorgenti di un grande fiume si trovano in un paese diverso rispetto alla foce, gli affluenti si diramano in altri stati ancora mentre lo sfruttamento idrico a monte condiziona enormemente la portata d'acqua a valle. Ciascun Paese, a seconda che si trovi a monte o a valle di corso d'acqua, accorda la sua preferenza ad un criterio diverso per definire la questione. In compenso c'è una letteratura sempre più copiosa sugli episodi di velata o aperta ostilità che nel corso del tempo hanno visti protagonisti Stati rivieraschi.

L'acqua appartiene alla Natura e tocca all'umanità (fino a prova contraria fa anch'essa parte della natura e non ne è padrona) garantirne l'accesso e l'utilizzo razionale, nel rispetto dei diritti di tutti gli esseri umani. Ma il diritto degli Stati sovrani non e' dello stesso avviso. Attualmente, solo l'Ecuador ha affermato nella propria costituzione la tutela dell'ambiente come bene comune. Nessun altro Stato al mondo ha riconosciuto la tutela della natura come fine ultimo dell'azione generale, al pari, ad esempio, del diritto al lavoro o alla salute.
Al contrario, l'affermazione della sovranità sui corsi d'acqua rimane ancora oggi, nel mondo dell'economia globalizzata, l'espressione piu' forte e autorevole della supremazia statuale, intesa come controllo legittimo di un territorio e dello sfruttamento delle sue risorse. E nessuna risorsa come l'acqua e' in grado di alimentare tensioni o di garantire uno sviluppo armonioso tra Paesi e tra comunità di uomini.
L'ecopolitica, ovvero la governance geopolitica e strategica delle risorse naturali, è sempre stata un dossier sensibile e vulnerabile per la gestione del potere degli Imperi. Lo scenario temuto dagli esperti di "idropolitica", nuova branca della geopolitica, prevede un futuro costellato di guerre per il controllo dell'acqua da far impallidire anche quelli per il petrolio. Non è un caso che si parli già di "acqua in cambio di pace".

I principali fiumi contesi nell'area sono il Nilo, il cui bacino idrografico interessa dieci nazioni dell'Africa Orientale; il Giordano, che attraversa Libano, Siria, Israele, Territori palestinesi; il Tigri e l'Eufrate, che nascono entrambi in Turchia, attraversano il territorio siriano e si congiungono in Iraq prima di sfociare nel Golfo Persico con il nome di al-Shat el-Arab. Con 400 milioni di abitanti, pari al 6% della popolazione mondiale, e circa 200 miliardi di metri cubi di acqua l'anno, Nordafrica e Medio Oriente rappresentano la zona piu' sensibile alla questione acqua a livello planetario: tenendo presente che in media un milione di persone necessitano di due miliardi di metri cubi di acqua l'anno, il fabbisogno idrico della popolazione nordafricano-e' soddisfatto solo per un quarto.

Si prevede che nel 2030 la popolazione mondiale raggiungerà la preoccupante cifra di 8 miliardi di individui, di cui ben 3 miliardi in situazione di grave crisi idrica. 
In realtà, non tutti sono dello stesso avviso. Non pochi specialisti rimarcano che la cooperazione nell'utilizzo delle acque è tutt'altro che impossibile, scansando i minacciosi proclami di quanti profetizzano un futuro apocalittico.
A sostenerlo è soprattutto la World Water Week, dal 1991 la massima assise mondiale dove vengono discussi i problemi più urgenti sull'acqua. La mancanza d'acqua, fu il pensiero predominante, è un problema dovuto alla cattiva gestione della risorsa, a cui è possibile rimediare attraverso una diretta collaborazione tra i paesi interessati.
Tra il 1948 e il 1999, secondo l'UNESCO, si sono registrate 1.831 "interazioni internazionali", compresi 507 conflitti, 96 eventi neutrali o non significativi, e 1.228 importanti istanze di cooperazione, a dimostrazione che nei bacini condivisi la cooperazione è più probabile del conflitto.
Ma allora perché si parla così spesso di "guerre per l'acqua"? Semplicemente perché un conflitto, trova spazio sui media molto più facilmente rispetto ad un accordo. "Le guerre dell'acqua fanno notizia, gli accordi di cooperazione no", dichiarò a margine del meeting Arunabha Ghosh, idrologo, coautore del Rapporto per lo sviluppo umano del 2006 sul tema della gestione dell'acqua. Un altro esperto, il prof. Asit K. Biswas, intervistato dall'IPS dichiarò che le guerre dell'acqua "Non hanno assolutamente senso, perché non ci saranno - almeno non per i prossimi 100 anni". Biswas spiegò che la vera causa delle carenze idriche nel mondo non è tanto la scarsità della risorsa quanto la sua cattiva gestione.
Con l'augurio che sia il primo passo che porti i governi a considerare l'acqua come "patrimonio dell'umanità", da gestire assieme attraverso logiche solidali e di mutuo sostegno, lontane da qualsiasi interesse economico o politico. La condivisione delle risorse può essere una strada verso la pace perché obbliga tutti a lavorare insieme, creando una naturale interdipendenza tra le nazioni.
L'acqua c'è: basterebbe cooperare. Un esempio?
Israele e Giordania: dagli anni Settanta i due paesi collaborano alla gestione del fiume Giordano con reciproco vantaggio, dando vita ad un sodalizio che non si è interrotto neppure in tempo di guerra. E che ha rappresentato la base di partenza verso la cooperazione in altri settori, in particolare quello dei trasporti.

Collaborare conviene a tutti.
Perché costruire è sempre meglio che distruggere.

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